venerdì, maggio 11, 2007

Beata Elisabetta Canori-Mora - Madre di Famiglia - Terziaria Trinitaria - Roma (1774-1825)

La Beata Elisabetta Canori-Mora, romana, modello di madre di famiglia cristiana, in mezzo al secolo passato lasciò l'esempio delle più sorprendenti virtù domestiche e dei più eletti doni della grazia. Di famiglia ricchissima, sposa all'avvocato Cristoforo Mora, soffri dopo pochi mesi di matrimonio l'infedeltà del consorte, i dissesti economici, il fallimento, a cui dovette riparare ella stessa, spogliandosi delle proprie gioie e del corredo nuziale. Disprezzata dal marito, minacciata di morte col pugnale alla mano, non lo abbandona, ma l'assiste malato, gli prodiga cure amorevoli, e non cerca altro che la conversione di lui, la quale avviene solo dopo la sua morte. Vivendo in mezzo di numerosa famiglia tra le cognate, la suocera, ed altri congiunti, umile e dimessa dà l'esempio della più invitta, eroica pazienza cristiana, fatta segno fino agli scherni della servitù, senza mai menarne lamento, nè cercare che si cambiasse a lei tale condizione di cose. Educó santamente le figlie, che fu costretta a mantenere con il lavoro delle proprie mani, e che per varii anni le furono tolte di mano dalle cognate per educarle a modo proprio. Quindi il romanzesco tentativo di fuga delle figlie: la drammatica aggressione del consorte, che essa in ispirito salva da morte sicura: le malattie ed ogni sorta di tribolazioni e di croci affinano e purificano quell'anima, che mostrando una tempra adamantina, ce si presenta poi sotto nuovo meraviglioso aspetto di vittima di espiazione per i peccatori e per il trionfo della Chiesa. Fatta tutta a tutti, si spoglia delle sue vesti per darle ai poveri, e Dio le concede il dono delle grazie e dei miracoli mediante una prodigiosa immagine di Gesù Nazareno. Il Signore prodigò sopra di lei tutti i più singolari carismi che concesse alle Terese, alle Geltrudi, alle Caterine da Siena: spirito di profezia, estasi, ratti, visioni, apparzioni di Angeli, di Santi, della Vergine, dello stesso Uomo Dio, e da ultimo le più sublimi e stupende contemplazioni degli alti misteri della Santissima Trinità, del cui Ordine insigne fu Terziaria, come la sua amica, Beata Anna Maria Taigi. E tutto questo quasi incessantemente in mezzo alle faccende domenstiche, in mezzo alle più grandi tribolazioni, nelle quali si vedeva sempre ilare e giuliva. Non trascurando punto le figlie ed il consorte sebbene infedele, ella negli ultimi dieci anni di vita non vive più che per la salute dei peccatori e per il trionfo della Chiesa. Per questo lotta intrepida con la podestà delle tenebre, che fa di lei aspro governo; ma la Serva di Dio ne trionfa al fine. Dio le promette il futuro trionfo della Chiesa, ed ella in ispirito trattiene nel 1821 il Pontefice Pio VII dal fuggire da Roma, salvando così la Città eterna dall'imminente terribile sciagura di uno scontro tra Austriaci e Napoletani.
Nel gennaio del 1825 incolta da idropisia, dichiarò essere questa la ultima sua infermità predicendo il giorno in cui moriva. Si alzò tutti i giorni fino all'ultimo per ascoltare la Messa nell'Oratorio demestico e ricevervi la santa Comunione. Il 5 febbraio, date le ultime disposizioni, si vesti con gli abiti di Terziaria e si ricompose nel suo giaciglio. Alla sera si scuote, fa avvicinare le figlie, le guarda fissamente, alza gli occhi sereni al cielo e appoggiata dolcemente col collo al braccio delle care figliuole rimane immota, come al solito avveniva, in estasi beata; mentre la bell'anima volava agli eterni riposi nella età di 49 anni, 2 mesi e 15 giorni. Dopo qualche spazio è chiamato ed accorre il Confessore, che dolente deve constatare che era spenta, ed aveva avuto l'assitenza direttamente dal Signore.

Efficace Orazione ispirata alla Ven. Serva di Dio

Eterno Padre, vi offerisco i meriti di Gesù Cristo vostro Figliuolo, millioni di volte in ogni punto della mia vita, ad ogni palpito del mio cuore, per compensare le ingiurie che avete ricevuto da me e da tanti peccatori fratelli miei.
Miserere nostri, Domine, miserere nostri.

Nihil obstat - Salvatore Natucci - S. Fidei Promotor Gen., Romae, 22 Augusti 1930

mercoledì, maggio 09, 2007

Primarbruderschaft des H. Apostels Paulus zur Bekehrung der Sünder

errichtet in der Kirche S. Paolo alle Tre Fontane, Roma:

martedì, maggio 08, 2007

Flora Manfrinati e Nostra Signora Universale

"Temi l'esilio e rifugiati sotto il Mio Manto." - "Io sono la Madre Universale, Mamma di tutti, di tutti i dolori, di tutti i desideri..." - "Ogni volta che l'occhio di creatura si poserà sulla Mia Immagine, avrà la Mia Benedizione."

Visto nulla osta Torino 21 giugno 1957 - Can. Luigi Carnino Revisore - Imprimatur Can. V. Rossi Prov. Gen., Curia Metropolitana Taurinensis - Educatrici Apostole Figlie di N.S. Universale, via S. Francesco da Paola 42 - Torino.

Nata nella bonifica ferrarese, il 7 luglio 1907, ricca di doni naturali e di rara bellezza, a tre anni fu trovata dai familiari, dopo angosciose ricerche, presso la concimaia dove era rimasta, priva di sensi, esposta allo scottante sole di luglio ed alle esalazioni del luogo.
Sul suo corpo, diventato tutto nero, si aprirono piaghe, le quali, invece di guarire, si approfondirono in modo inspiegabile sempre più.
Dio fin da quella tenera età l'aveva chiamata alla sofferenza.
Senza un lamento, Flora, vero piccolo Giobbe, passò i suoi anni giovanili a casa o al mare, dove andava d'estate per cura, tra le sofferenze atroci delle sue piaghe purulenti.
Rimase cieca per sette anni e non potè frequentare la scuola per imparare a leggere e a scrivere, neanche quando ebbe la vista, che riacquistò improvvisamente - ma sempre in misura limitata - mentre già era sul tavolo operatorio per l'asportazione di un occhio.
Fu una bimba sensibilissima, ma forte per la volontà che tutto equilibrava. Coraggiosa, per non far pesare il suo stato ai familiari, volle presto medicarsi da sè in modo energico e senza pietà. Si proibì ogni atto di debolezza e rinnegò se stessa fin nelle più piccole cose. Nonostante tutto, nell'animo suo non era penetrata la tristezza. Più tardi ne dava la spiegazione che riportiamo con le sue stesse parole.
"Diceva una volta Chi è più intelligente di me: - Se l'anima guarda il Crocifisso, non può avere che sensi di compassione; contemplandolo a lungo ella si sente penetrare tutta dalle sofferenze e dalle pene di Gesù. Come può allora sollevarsi con pensieri più sereni o come può ridere, essere giuliva se il suo Maestro soffre? Anche se guarda Gesù adulto ella vede ancora l'ombra della passione dipinta negli occhi del Signore. Devono quindi le anime essere piagnucolanti? No! Guardiamo il Piccolo Gesù; a Lui piacciono i fiori, gli uccelli, gli alberi, il mare; Egli sorride alla Mamma, gioca ed è felice - ".
Questa giovinezza interiore, unita al calore che sprigionava dal suo cuore verso le anime, fu la ragione del suo irresistibile fascino.
A 11 anni ricevette la prima Comunione ed ottenne la grazia della guarigione istantanea delle piaghe più visibili e della gamba e del braccio rattrappiti. Le piaghe nascoste si chiusero poco per volta molto più tardi, ma di esse le rimase per tutta la vita il dolore, come se fossero sempre aperte.
Il lungo tirocinio di sofferenza la consacrò Apostola, anche se priva del tutto di studi e di mezzi umani. Incominciò in casa prestissimo, coi bambini del paese; poi presso lo zio Monsignore in diverse parrocchie; in seguito in Piemonte, nell'Azione Cattolica di Testona e di Moncalieri; come fondatrice di un asilo a Palera e di iniziative eucaristiche in vari luoghi; durante la guerra mondiale e negli anni successivi all'Oratorio di S. Michele (tenuto dalle Suore Missionarie della Consolata), al quale dedicò dieci anni della sua eroica attività, salvando l'opera e dandole un nuovo meraviglioso rifiorire.
I malati dell'ospedale la conobbero mirabile consolatrice. La gioventù si sentiva attratta dalla sua parola e dalla sua personalità: era una vera trascinatrice.
Fu preziosa consigliera delle anime, nelle quali sapeva leggere per intuito sopannaturale.
Dotata in modo straordinario di doni di Dio, visse nascosta tutta la vita nelle occupazioni più umili, che non le impedivano tuttavia di dettare pagine sublimi per elevatezza di pensieri e preziosità di insegnamenti. Non lesse mai alcun libro nella sua vita.
All'umiltà aggiunse la fortezza mirabile nelle continue difficoltà e lotte; una fede travolgente, un amore che la immolò tutta nella sete delle anime; uno spirito cristiano, di letizia che portava al bene. Dotta per i lumi dello Spirito Santo, semplice in tanta abbondanza di sapienza, prudente nelle vie del mondo, raggiuse la perfezione anche in tutti i suoi lavori.
Fu grande organizzatrice con minimi mezzi.

Nel 1950 lasciò per volere divino l'Oratorio San Michele.
Fondò la Famiglia delle Educatrici Apostole, per arrivare a tutti i bisogni delle anime, nella Casa Famiglia Madonna degli Angeli.
La sua spiritualità, segnata dalla croce, ma irradiata di serenità, si concentrò tutta nella SS. Eucaristia, nella più grande attrazione a Gesù Bambino e in una luce purissima di immensa devozione alla Madonna.
La Chiesa, la Sede di Pietro, i Martiri delle catacombe, gli Apostoli del Vangelo e, specialmente negli ultimi anni, la croce, nello sforzo continuo di misurarsi ad essa, furono i suoi più grandi ideali.
Aprì le sue braccia in croce, come le era stato predetto, e morì, tra indicibili sofferenze - sopportate senza volerle alleviare con rimedi umani - dopo aver lasciato tutto il patrimonio delle sue ricchezze spirituali alle sue Sorelle in Cristo ed alle anime, il 12 marzo 1954, nella Casa dove nacque l'Opera delle Educatrici Apostole in Torino (v. S. F. da Paola 42).

mercoledì, maggio 02, 2007

Benedetta Bianchi Porro, die weiße Rose von Dovádola (1936 - 1964)

Benedetta Bianchi Porro, jung, hübsch, reich, intelligent und lebensfroh, nahm willig ihr Kreuz auf sich und folgte dem Gekreuzigten nach.

Die 27-jährige Medizinstudentin Benedetta Bianchi Porro, die gelähmt, blind, taub, geschmacks- und geruchsunfähig auf ihrem Krankenlager scherzte und lachte, wußte einige Monate voraus, daß sie am 23. März 1964, am Feste Mariä Vermählung sterben werde. Doch, sie ließ sich keine Aufregung, keine Traurigkeit anmerken. Einer Freundin schrieb sie schlicht am Schlusse ihres letzten Briefes: «Jetzt bin ich ruhig. Morgen werde ich sterben!»Vor Wochen hatte sie nämlich im Traume ein offenes Grab in ihrem Geburtsort Dovádola (Provinz Romagna) und darüber eine weiße Rose erblickt. Es war für sie das geheimnisvolle Zeichen ihrer baldigen Sterbestunde, aber auch ihrer freudigen, ewigen Auferstehung!
Geboren im Jahre 1936 inmitten der achtköpfigen, begüterten und glücklichen Familie des Ingenieurs Guido Bianchi Porro wuchs die allerliebste Kleine zu einem bildschönen, außergewöhnlich begabten Mädchen heran. Zur Schulreife gelangt, wurde sie von den Lehrern sogleich in die 2. Primarklasse gesteckt. Mit 10 Jahren fand sie bereits Aufnahme ins Gymnasium und vermochte dank ihrer vielseitigen Talente und ihres ausdauernden Fleißes erneut eine Klasse zu überspringen, obwohl die Kriegszeiten mit ihren Bombardements ein ruhiges Studium fast verunmöglichten. Im Alter von kaum 17 Jahren wurde sie zur Immatrikulation an der Mailänder Universität zugelassen. Damals begannen sich die ersten schweren Störungen in ihrem Organismus bemerkbar zu machen.
Im Jahre 1953 schloß sie die Gymnasialstudien mit einer glänzenden Literatur-Matura ab, bereit zu weiteren geistigen Strapazen.
Sie notierte zwar schon damals in ihrem Tagebuch: «Der Examinator stellte lateinische Fragen, doch ich konnte nicht alles verstehen. Wahrscheinlich habe ich schön dumm dreingeschaut.»
Da aber nicht ihr Gedächtnis versagte, sondern ihr Gehör, begann nun ein mühsamer Kreuzweg von einem Spital zum andern, zu schmerzhaften Untersuchungen. Ein Dienstmädchen mußte sie jeweils auf dem Weg zur Aula begleiten. In aller Eile lernte sie nun die Taubstummensprache. Trotz aller Schwierigkeiten studierte sie tapfer weiter, denn sie meinte, «daß ein Aufgeben des Studiums eine Feigheit wäre!»

Ihrem Vater zuliebe hatte sie zuerst Physik als Hauptfach gewählt, wechselte dann aber zurmedizinischen Fakultät über. Alle Examen gelangen ihr, außer einem. Als sie die Examinatoren zu bitten wagte, ihr die Fragen schriftlich vorzulegen, da sie nichts höre, wurde sie empört ausgelacht und beinahe aus der Universität gejagt. Doch als ärztliche Atteste ihren Zustand bewiesen, wurde ihr Gelegenheit zur Wiederholung des Examens gegeben und sie bestand es mit höchster Auszeichnung!
Da Benedetta sich Rechenschaft gab, daß auch ihr Augenlicht eigentümlich abnahm, suchte sie in allen medizinischen Büchern nach dem Namen ihrer Krankheit, den auch die Ärzte bisher nicht hatten ausfindig machen können. Und sie fand den Begriff «Recklinghausen, neurofibromatosi diffusa.»
Nicht eine einzige Sekunde haderte diese junge, fröhliche Medizinerin mit ihrem Schicksal. Nein, als Kind Gottes wußte sie, daß kein anderer Weg zum Himmel führt, als der Weg des Kreuzes.
Sie schrieb an eine befreundete Studentin, die von ihr ermuntert, ins Kloster ging:
«Ich habe bemerkt, daß die sogenannten Kulturvölker die christlichen Tugenden wohl schätzen, aber sobald sich Christus mit seinem Kreuze nähert, möchten sich viele seiner Anhänger am liebsten aus dem Staube machen aus lauter Angst vor den Verdemütigungen und Leiden, welche das Kreuz mit sich bringt . . .»
Benedettas eisernem Arbeitswillen gelang es zwischen schmerzhaften Operationen, das Examen in medizinischer und chirurgischer Patologie erfolgreich abzulegen, aber zum Staatsexamen reichten ihre Kräfte nicht mehr aus. Da sie nicht untätig darniederliegen wollte, nahm sie einen Korrespondenzkurs für Zeichnen und Malen und unterrichtete ihre jüngeren Geschwister in Mittelschul- und Primarschulfächern. Man mußte ihr eines Tages alle Zähne ausreißen und bei einer Kopf-Operation schnitt man ihr aus Versehen den Gesichtsnerv durch. Aus einer anderen Narkose erwacht, merkte sie, daß sie erblindet sei. Die besten Ärzte versuchen ihre Kunst. Doch umsonst! Nach einem Eingriff ins Rückenmark, vermag sie sich nicht mehr aufrechtzuhalten.
Zuletzt blieb diesem heroischen Menschenkind nur noch eine einzige Hand und die Stimme zur Verfügung, um sich mit der Außenwelt verständigen zu können. Blind, taub, gelähmt, ohne Geruchs- und Geschmackssinn lag sie da. Doch ihr Seeleneifer verdoppelte sich.
Ihre Studiengenossen und Freundinnen besuchten sie oft. Sie scherzte und plauderte mit ihnen. Sie punktieren ihre Studien- und Standeswahlprobleme in Taubstummenzeichen auf ihre Hand und sie gibt ihnen mit der Stimme, die ihr geblieben, Antwort. Sie ermuntert sie zu Fleiß und Ausdauer, zur Treue gegen Gott und die katholische Kirche. Bei ihr, der Schwerkranken, holen die Gesunden Lebensmut und Energie. Oft sitzen 10-15 Studenten in ihrer Kammer, besprechen mit ihr politische und religiöse Probleme, lachen und singen, denn sie wissen, daß Benedetta so gerne singt und fröhlich ist. Diese Burschen wetteiferen miteinander, um der Mutter zur Essenszeit zu helfen, der Kranken einige winzige Bissen in den Mund zu schieben.
Und dort, in diesem Krankenzimmer feiert die akademische Jugend ihre Gemeinschaftsmesse. Benedetta holt ja ihre ganze Kraft, ihre unversiegliche Leidensfreude, ihre Liebe zu den Seelen aus der täglichen heiligen Kommunion. Nur in innigster Verbindung mit dem Gekreuzigten vermag sie ihr eigenes Kreuz bis ans Ende zu tragen und geistige Führerin so vieler Studenten und Studentinnen zu sein. Sie diktierte ihrer aufopferungsvollen Mutter Briefe an andere Gelähmte, Verzweifelte, Gefährdete und Gestrandete, um sie Gott näher zu bringen. Verschiedene Studenten ermunterte sie mit Erfolg zum Priester- und Missionsberuf. Einer bedrückten Lehrerin, die in ihrer Schule keine Disziplin fertigbrachte, schrieb sie:
«Lass dich nicht entmutigen durch den Gedanken, du habest zuwenig Autorität. Deine jungen Schüler müssen von dir besonders die Tugend der Geduld erlernen und dieses dein Beispiel wird wunderbar dazu beitragen, sie zu bessern. Ich bin dessen gewiß. Liebe diese kleinen Ameisen Gottes, denn der Himmel spiegelt sich in ihnen.»
Einer Tänzerin der Mailänder Scala flüsterte sie nach der letzten Meßfeier, nachdem sie die hl. Wegzehrung empfangen, abschiednehmend zu: «Vergiß nie, dass man allüberall heilig sein kann!»
Einem Arzt, der Krankenzüge nach Lourdes begleitete sagt sie, nachdem sie zweimal ungeheilt von dort zurückkehrte:
«Sie sind wahrhaftig glücklich zu preisen, Herr Doktor, daß Sie sich diesem wohltätigen Werke widmen können. Möge der liebe Gott Sie recht lange am Leben erhalten! Sursum corda!» Weinend drückte er ihre Hand.
Eine Studentin in Examennöten erhielt den Rat: «Studiere fleißig, aber nicht so, daß es deiner Gesundheit schadet!» Einer anderen schrieb sie: «Ich weiß nicht, wie es dir im Examen gehen wird, aber wage es auf jeden Fall und nimm voll Freude den Willen Gottes an . . . Gewiß, mein Leben ist unsagbar traurig, aber ich freue mich dennoch, denn ich weiß, daß Gott an mich denkt» . . .
«Sei so gut Mütterchen und lies mir die Bergpredigt vor!» Und die Mutter punktierte auf die Hand der Tochter mit wehem Herzen: «Selig sind die Sanftmütigen — selig die Leidenden, denn sie werden getröstet werden» . . .
Und sinnend bemerkte Benedetta einmal: «Ich habe im Leben oft und gerne zum Himmel aufgeschaut, voll Sehnsucht nach dem göttlichen Heiland. Hier auf Erden sind wir alle in einem Wartesaal, wie auf einem Bahnhof . . .»
Als am letzten Morgen ein Vöglein trillernd sich auf ihrem Fenstersims niederließ, sang Benedetta freudig ihr letztes Abschiedslied an Gottes schöne Welt: Rondinella pellegrina...
Draußen im Garten aber hatte die Mutter eine weiße Rose entdeckt und teilte es ahnungslos der Kranken mit. Ein Freudenschimmer huschte über das totenbleiche Gesicht. Noch ein letztes, mühsam gestammeltes «Danke» den geliebten Eltern. Dann erlosch Benedettas Stimme hienieden, um aufzujubeln im ewigen Oster-Alleluja!

(Siate nella gioia. Ital. Biographie über Benedetta Bianchi Porro, Edizioni, Corsa dei Servi, piazza S. Carlo 2, Milano) Dr. M. Haesele, "Santa Rita", 17. Jg., Nr. 8, April 1968

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